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Cosmoledo, un mucchio di terra sopra una scogliera dell’Oceano Indiano...

 


Cosmoledo, un mucchio di terra sopra una scogliera dell’Oceano Indiano, dove ha vissuto una popolazione per due secoli


Un’isola deserta nel cuore di un Oceano ha un fascino speciale per l’uomo che vi sbarca, il fascino delle cose lontane, della natura vergine, dell’appassionante scoperta di  qualcosa di nuovo.
Ma un’isola abbandonata dagli uomini offre, oltre a ciò,  l’incanto di una storia umana che ha posto la parola fine alla sua vicenda. E non si sa quale sia più attraente, se la suggestione del passato  o quella dell’avvenire.
Nell’Oceano Indiano, poco a sud dell’Equatore, c’è un luogo che ha questa singolare attrattiva: è un’isola con una laguna interna, dalle acque limpide e dalla vegetazione verdissima, popolata da migliaia di uccelli. L’atollo di Cosmoledo, tipico anello corallino spezzato in una collana di isolette. Nel mezzo del cerchio infranto si allarga la laguna.
Sul lato occidentale dell’atollo  sorge il maggiore dei frammenti di Cosmoledo, Menai. Menai ha una forma ellittica, leggermente incurvata all’interno dalle correnti che l’hanno levigata.
E’ un’isola alta appena qualche metro in tutta la sua breve estensione, che non supera in totale i 4 chilometri.
Poco più di un mucchio di terra sopra una scogliera. Lì, in quel breve tratto emergente sull’Oceano ha vissuto una popolazione. Venuta  dalle coste dell’Asia e d’Africa attraverso altre terre, era giunta qui nel XVIII secolo. Poche famiglie che, mescolando il sangue di tre continenti, avevano formato una nuova razza, ora sparsa sulle isole di quell'Oceano.
Nella loro unica lingua, l'antico francese coloniale, si chiamavano “seichellois”.
Quando giunsero a Cosmoledo portarono parte del loro vecchio mondo: animali domestici, alberi che piantarono accanto a quelli naturali, piante. Tentarono di coltivare il frumento, i legumi e gli agrumi. Si dedicarono alla pesca e cacciarono le testuggini di mare.
Gli stormi di uccelli che nidificavano a Cosmoledo fornirono alla nuova popolazione uova e concime di guano. Milioni di molluschi marini diedero altro cibo e le conchiglie fornirono la loro ricchezza madreperlacea per i più vari usi.
I seichellois scavarono nella pietra corallina un pozzo, dove l'acqua marina diventa potabile, filtrandosi nella roccia.
Col cemento marino di coralli e di conchiglie furono costruite le abitazioni, coperte da tetti di foglie di palma.  Così vissero per due secoli.
Di tanto in tanto qualche battello buttava l'ancora per commerciarvi qualcosa. Per il resto la vita era quieta. Due soli erano i pericoli temuti: il ciclone ed i pirati. Ma non furono né il primo né i secondi ad indurre gli abitanti di Menai ad abbandonare la loro piccola patria, fu un'altra ragione, non molti anni fa. Partirono tutti sopra un battello che li caricò col bestiame e le masserizie. Tornarono da dove erano venuti, si spersero su altre isole. Prima di andarsene misero in ordine quello che restava, come quando si lascia la casa per una villeggiatura.
Rimase il villaggio con le piroghe all'asciutto, con le abitazioni intatte ed i mobili più grandi, quelli che era difficile trasportare. Rimasero le macellerie di tartarughe piene dì ossa ed i giardini ancora in fiore. Rimasero il sole, gli uccelli ed il piccolo cimitero.
Un mattino un peschereccio leggero, con tre grandi vele, si avvicinò dal sud, costeggiò bordeggiando le isolette minori e sfilò davanti a Menai.
Ad un tratto da bordo scorsero il villaggio. Era appena nascosto dalle palme. Le sue  case, mezze in muratura, mezze coperte di foglie, davano un aspetto accogliente al luogo. Ma non si vedeva nessuno.
Da bordo si calò un  piccolo battello di gomma e due uomini vi presero posto, cominciando a remare verso terra. Il fondo di corallo appariva limpidissimo al di sotto, ma subito si appannava nel tremolio del remo. A cinquanta metri dalla riva, l’acqua scolorì nel fondo bianco sabbioso che si stendeva sotto i cespugli di corallo. L'isola affiorava. I due uomini scesero e rimasero nell'acqua fino alla vita. Trainarono il battellino di gomma finché questo si arenò. Allora lo alzarono, portandolo di peso sulla riva.
Una fila di granchi con gli occhi a periscopio li osservava dalla sabbia bianca ed asciutta, a qualche metro di distanza. Intorno c'era una coltre di conchiglie corrose.
Uno dei due uomini si tolse le scarpe e lasciò correre da esse un filo di acqua che fece una piccola buca grinzosa in terra. Le orme dei piedi e quella buca furono i primi segni che gli uomini erano tornati sull'isola.
I due uomini risalirono per una breve china e superato un grosso albero si fermarono. Intorno a loro stavano le case dai tetti di foglie. In terra altre foglie filiformi e secche, avevano formato un tappeto continuo ed uguale.
Tutto era in ordine. Anche le canoe, allineate sotto alcune tettoie erano in ordine. Sembrava che i pescatori dovessero venire da un momento all'altro a prenderle.
Ci si aspettava di vedere qualcuno uscire dalle grandi verande ombrose. Una porta cigolò e si aperse. I due uomini volsero lo sguardo ma nessuno uscì. Era soltanto il vento.
I due si incamminarono per il villaggio, un villaggio grande, lungo qualche centinaio di metri e largo poco meno. Chi l'aveva costruito doveva conoscere l'estetica urbana. Le vie erano regolari, ma non monotone, alternate da piante sistemate apposta. Il suolo, coperto dalle foglie filiformi, cadute dalle casuarine tropicali, aveva un aspetto pulito ed i passi degli uomini non si sentivano su quella coltre.
Da una porta uscì un fruscio insistente. Il primo dei due uomini si avvicinò e aperse l'uscio, ma saltò subito indietro mentre due aironi volavano fuori gracchiando.
Il loro eco si perse presto e tutto tornò silenzioso nel fruscio del vento. Erano anni ormai che quelli erano gli unici rumori dell'isola.
Poco distante c'erano le cucine di una grossa comunità, a giudicare dai pentoloni rimasti. Gli uomini scomparsi forse mangiavano qui, tutti assieme, come una grande famiglia patriarcale, perché quello era il solo posto nel villaggio dove c'era una cucina.
Fuori pendeva un gong con il martello ancora appeso al sostegno. Uno degli uomini lo staccò e vibrò un colpo. Fu l'ultimo colpo del gong, perché il sostegno arrugginito crollò in terra trascinando tutto l’arnese con sé. I due si voltarono e tornarono indietro. Camminarono a lungo tra le case silenziose ed infine entrarono in un'abitazione più bella delle altre. Doveva essere appartenuta ad una persona importante. Nell'interno si allineavano mobili in legno. Dagli scaffali bassi vennero fuori un paio di scarpe femminili. La donna che le aveva abbandonate possibilmente era zoppa, una delle scarpe era molto più consumata dell'altra. Vicino, appesa ad un chiodo, stava una gonna e per terra c'era un giaciglio di stoppa.
Pareva che qualcuno avesse abitato lì recentemente. I naufragi sono ancora frequenti in questi paraggi per i cicloni e le scogliere basse. Sessanta sambuchi arabi si perdono ogni anno in questo mare.
Oltre la casa, si allargava un vasto piazzale. Scudi di testuggine stavano ammucchiati in  più posti. Due scritte  semicancellate si leggevano ancora su due costruzioni vicine: “Hospital” e “Boite postale”. Il secondo non doveva aver avuto molto lavoro. Quando un battello veniva da lontano ci sarà stata ressa intorno a quel posto. Poi, per mesi, nessuno se ne sarà curato.
Ma sul piazzale ci doveva essere stata sempre della gente, era il centro del villaggio.
Lì, gli uomini che un giorno erano partiti, si riunivano a chiacchierare. Lì avevano deciso di andarsene, quando in una stagione povera di pesca il frumento si seccò ed il guano era diventato troppo difficile da scavare.
Un anno di raccolto insufficiente può essere sopportato in altre terre, dove c'è qualche riserva, dove si può andare a prendere altrove le provviste necessarie.
Ma qui, su questo mucchio di terra. non c'era possibilità di aspettare, un anno di carestia era fatale. Per due secoli erano riusciti a farcela, a vincere la natura, ma bastò un solo anno alla natura per vincerli.
I seichellois sono gente dal viso dolce, dove la mescolanza delle razze ha portato, come spesso succede, la gentilezza di ciascuna, dove la religione dell'amore, il cristianesimo, aveva riuniti gli spiriti in una sola credenza.
Non erano romantici, ma gente dal cuore buono, gente pratica, semplice. Certamente avevano pianto partendo. Dice una leggenda che la bianchezza delle spiagge di quelle isole incantate è data dalle lacrime di quelli che le abbandonano. Anche Cosmoledo ha una spiaggia bianchissima.
Erano andati via cercando un luogo più ricco, lasciando soltanto le ossa dei morti e quelle delle testuggini
I due uomini erano usciti dal villaggio, verso il mare e si erano fermati sui mucchi di ossa bianche. Erano dei mucchi molto alti e si dovevano vedere da lontano, tra il verde, il mare e la laguna. Altre macchie bianche si stagliavano intorno. Erano gli stormi di uccelli che riempivano di uova l'isola.
Più in là c'erano le tombe. I tumuli avevano la croce. Non c'erano nomi, o almeno non si leggevano più. La scritta “Hospital” e “Boite Postale” erano rimaste, non  i nomi dei morti.
Il mio compagno disse:  “Andiamo”.
Allora per la prima volta mi accorsi che stavo lì, davanti a quelle tombe e che il sole scottava troppo. Per chi era vivo, come noi.


 


 


 



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